IL TRIBUNALE

    Vista la richiesta del p.m. di procedere con incidente probatorio
all'assunzione della testimonianza dei minori...
    Rilevato  che  si  procede  a  carico  di  Pupino  Maria,  nata a
Carovigno (BR) il 7 agosto 1955, in ordine ai seguenti reati:
        a)  reato  di cui all'art. 571 c.p. perche', quale insegnante
presso  la  Scuola  materna  statale "Andersen", abusava dei mezzi di
disciplina in danno dei minori... tutti nati nel 1996, a lei affidati
per  ragioni di educazione e vigilanza, picchiandoli abitualmente con
sculaccioni,  colpi  in  testa e graffi, rivolgendosi a loro con toni
aggressivi,  minacciandoli  di  somministrare loro tranquillanti e di
mettere  loro cerotti sulla bocca, infliggendo punizioni quale quella
di  impedire agli alunni di recarsi in bagno ad espletare le funzioni
fisiologiche,  cagionando alla piccola G. A. le lesioni descritte nel
capo  che  segue  e creando il pericolo di malattie sia nel corpo che
nella  mente  dei  bambini,  i  quali manifestavano tensione, paura e
resistenza nel recarsi a scuola.
    In Campi Bisenzio, nei mesi di gennaio e febbraio 2001;
        b)  reato  di  cui  agli  artt. 582,  585,  576  in relazione
all'art. 61  n. 2 e n. 11 c.p., perche', al fine di eseguire il reato
di  cui al capo a), colpendola sulla fronte per punirla per non avere
prestato  attenzione  ad  una  spiegazione  in classe, cagionava alla
piccola  G.  A.  lesioni  personali  (lieve  tumefazione  in  regione
frontale sx), giudicate guaribili in gg. 4 s.c.
    In Campi Bisenzio, il 23 febbraio 2001;
        osservato che il p.m. chiede l'incidente probatorio ritenendo
che  l'assunzione  della testimonianza dei bambini non sia rinviabile
al  dibattimento,  tenuto  conto  della  loro  minore  eta'  e  della
conseguente  inevitabile  modificazione  della situazione psicologica
dei  medesimi,  nonche' di un eventuale processo di rimozione; chiede
inoltre  che  si  proceda  all'assunzione  della  prova con modalita'
protette,   ossia   che   l'udienza   si   svolga  in  una  struttura
specializzata,   con   modalita'   che   tutelino   la  dignita',  la
riservatezza   e   la   serenita'  dei  minori,  anche  eventualmente
avvalendosi  di  uno  psicologo  esperto  in  psicologia infantile, a
cagione  della  delicatezza  e  gravita'  dei  fatti,  nonche'  della
difficolta'  di  approccio  delle persone da esaminare in conseguenza
della loro minore eta';
        rilevato  che  i  difensori  di  fiducia  dell'indagata,  con
memoria  depositata  ai  sensi  dell'art. 396 c.p.p., si sono opposti
all'incidente  probatorio,  sostenendo  che  nella specie non ricorre
alcuno  dei  casi  previsti  dall'art. 392 c.p.p.: non sussiste alcun
fondato  motivo per ritenere che i piccoli non potranno esere escussi
in  dibattimento  "per  infermita'  o altro grave impedimento", o per
ritenere  che  essi  possano  essere  esposti  a "violenza, minaccia,
offerta  o  promessa  di  denaro  o  di altra utilita'" affinche' non
depongano,  o  depongano  il  falso;  ne' risulterebbe applicabile il
comma  1-bis  (introdotto  dall'art. 13  della legge 15 febbraio 1996
n. 66   contro   la   violenza  sessuale  e  modificato  dall'art. 13
decreto-legge  3 agosto 1998 n. 269 contro la prostituzione minorile,
la pornografia e il turismo sessuale in danno di minori), giacche' il
procedimento  penale  non  ha ad oggetto uno dei reati tassativamente
previsti dalla norma in questione;

                            O s s e r v a

    Le  deduzioni  dei  difensori sono ineccepibili; conseguentemente
appare  non  manifestamente  infondata  la  questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 392, comma 1-bis c.p.p., nella misura in cui
non   prevede   che  si  possa  procedere  con  incidente  probatorio
all'assunzione  della  testimonianza  di  un  minore di anni sedici -
anche  al  di  fuori  delle ipotesi previste dal comma 1 - qualora si
proceda  per  delitti  diversi  da quelli ivi indicati, sempre che il
teste  sia  anche la persona offesa del reato; nonche' dell'art. 398,
comma  5-bis  c.p.p.,  nella  misura  in cui non prevede che si possa
assumere  la  testimonianza  di  persona  minore  di  anni sedici con
modalita'  "protette"  e mediante mezzi di riproduzione fonografica o
audiovisiva  qualora  si  proceda  per  delitti diversi da quelli ivi
indicati, sempre che il teste sia anche la persona offesa del reato.
    Si   ritiene  infatti  che  le  nonne  in  questione  contrastino
anzitutto   con   il  principio  di  uguaglianza  di  cui  all'art. 3
Costituzione,  che  impone  di  trattare  allo stesso modo situazioni
identiche  o  sostanzialmente  assimilabili,  tali  dovendo ritenersi
tutte  le  ipotesi  in  cui  si procede per reati in danno di persone
minori  di  eta', a prescindere dal tipo di reato ipotizzato: invero,
laddove  la  vittima  e'  un  minore  (o  addirittura  un  bambino di
pochissimi  anni,  come  nel  caso  di  specie)  sussistono  tutte le
condizioni  che  hanno  indotto  il  legislatore  a varare la recente
legislazione protettiva, la quale tuttavia e' stata irragionevolmente
introdotta solo per la sfera dei reati sessuali o a sfondo sessuale.
    Tali   condizioni  consistono,  innanzitutto,  nella  inevitabile
difficolta' di approccio con questo specialissimo tipo di testimoni e
parti  offese,  che  richiede  quasi  sempre l'ausilio prezioso di un
esperto  di  psicologia  infantile  (spesso  i bambini, infatti, sono
intimoriti e non in grado di comprendere il motivo per cui sono stati
convocati dal giudice; sovente non usano il linguaggio degli adulti e
a  volte  riescono  ad  esprimersi  solo  a gesti, o con l'ausilio di
oggetti   o   giocattoli);  cio'  spiega  perche'  sia  assolutamente
necessaria  la  documentazione  dell'atto  istruttorio  attraverso la
videoregistrazione   con  telecamere  nascoste,  sola  modalita'  che
permette  di  poter  apprezzare,  in sede di valutazione della prova,
qualsiasi    sfumatura,   non   solo   del   linguaggio,   ma   anche
dell'atteggiamento   complessivo  del  bambino  (es.  la  particolare
postura  sulla sedia, o il ritmico movimento delle mani e dei piedi);
tale  modalita'  inoltre,  se  attuata  all'interno  di una struttura
specializzata (in modo tale che siano presenti-insieme di giocattoli,
solo  il  giudice  e  lo  psicologo,  mentre  tutte  le  altre  parti
processuali  assistono  alla  prova  al  di  la' di un vetro-specchio
unidirezionale), consente al minore di esprimersi in tutta liberta' e
allo stesso tempo tutela la sua riservatezza e la sua dignita'.
    Va  inoltre considerato che la qualita' di persona minore di eta'
del  testimone parte offesa lo rende particolarmente vulnerabile e lo
induce  a  cercare  di  "rimuovere" psicologicamente l'accaduto molto
piu'  di  quanto,  nelle stesse condizioni, non farebbe un adulto; le
recenti  modifiche  normative  sono  state appunto varate proprio per
tutelare  non solo la dignita', il pudore e la personalita' del teste
parte  offesa minorenne, ma anche la genuinita' della prova: infatti,
attraverso   il   meccanismo  processuale  dell'incidente  probatorio
svincolato da situazioni oggettive di irripetibilita' della prova, e'
stata  introdotta,  come regola generale, la possibilita' di assumere
queste  particolari  testimonianze  nella prima fase del procedimento
penale  e  quindi  nell'immediatezza  del  fatto,  ossia prima che il
minore  abbia  potuto  attuare  il  naturale  processo  di "rimozione
psicologica";   inoltre,   il  particolare  strumento  dell'incidente
probatorio   consente  di  assumere  queste  prove  una  sola  volta,
garantendo  cioe'  all'atto  istruttorio  esperito dal giudice per le
indagini   preliminari   l'efficacia   di  prova  piena  anche  nella
successiva fase del processo (e cio' anche al fine di consentire alla
vittima  di non tornare continuamente a "rivivere" il proprio passato
doloroso, con conseguente continua rinnovazione del danno).
    In  sostanza,  soltanto per le testimonianze di persone minori di
anni  sedici,  rese  in  procedimenti  per  reati sessuali o a sfondo
sessuale;  siccome i minori sono quasi sempre le vittime dei reati in
parola  e  siccome  la  loro personalita' e la genuinita' della prova
potrebbero  essere  danneggiate  se  la  deposizione con efficacia di
prova  piena  venisse  assunta solo in dibattimento (ossia a notevole
distanza  di  tempo  dal  fatto  di reato ed in pubblica udienza), il
legislatore ha consentito che il giudice per le indagini preliminari,
su  istanza  di  parte, una volta valutate le circostanze del caso di
specie,  possa  scegliere di adottare il modulo processuale opposto a
quello  ordinario, ancorche' non sussista alcun pericolo concreto che
la testimonianza non possa essere ripetuta in dibattimento.
    Evidentemente  il  legislatore  ha  ritenuto  che,  allo scopo di
proteggere  la  personalita'  del  teste  parte offesa minorenne e la
genuinita'   della  sua  testimonianza,  ben  si  possa  derogare  al
principio generale, cardine dell'attuale processo penale, secondo cui
la  prova  si  forma  solo a dibattimento e non hanno alcun valore di
prova  le  dichiarazioni  rese  dal teste nella precedente fase delle
indagini   preliminari.   A   parere   del   giudice   nessuna  seria
considerazione  logica  spiega  il motivo per cui queste fondamentali
innovazioni  processuali  siano state dal legislatore introdotte solo
in  relazione  ai  procedimenti  penali  per  i  reati  di  cui  agli
artt. 600-bis,  600-ter, 600-quinquies, 609-bis, 609-ter, 609-quater,
609-quinquies  e  609-octies  del codice penale, anziche' in ordine a
qualsivoglia delitto nel quale sia parte offesa una persona minore di
eta':  va infatti considerato che molti dei delitti esclusi dal campo
di  applicazione della norma ben possono, in concreto, rivelarsi piu'
gravi  per  la  vittima  rispetto  ad  uno  qualsiasi dei reati sopra
indicati  (per  esempio,  puo' risultare piu' grave, sotto il profilo
del  danno  psicologico  per la vittima, il reato per cui si procede,
secondo  l'accusa  commesso  ripetutamente da un'insegnante di scuola
materna  su  bambini  dell'eta'  di  cinque  anni,  rispetto a quello
consistente  in un semplice e fugace "toccamento" di una ragazza gia'
quindicenne);  occorre  quindi  consentire l'astratta possibilita' di
adottare  il  nuovo  modulo  processuale  per qualsivoglia delitto ai
danni  di  persone  offese minori, lasciando poi al giudice di merito
decidere  di  volta  in  volta  se farvi o meno ricorso, valutando le
circostanze  concrete  del caso di specie (cio' che si realizzerebbe,
appunto,  con  una  sentenza  "additiva"  della Corte costituzionale,
considerato  che, anche in riferimento ai delitti sopra indicati, gli
artt. 392,  comma  1-bis e 398, comma 5 bis c.p.p. consentono, ma non
impongono,  di  adottare  lo  strumento dell'incidente probatorio con
speciali modalita' di assunzione e documentazione della prova).
    Si  ritiene  inoltre  che  le  norme in questione contrastino con
l'art. 2 Costituzione, che tutela i diritti inviolabili dell'uomo: in
base  a  tale  principio  il processo penale deve essere governato da
regole  in  grado  di tutelare la personalita' degli individui, siano
essi  imputati  o  testimoni, e deve quindi svolgersi in modo tale da
garantire  che  siano il piu' possibile salvaguardate la dignita', il
pudore  e  la  riservatezza di costoro; cio' invece non avviene, come
sopra  si  e'  anticipato, nel momento in cui il testimone minorenne,
non  potendo  essere  esperito  l'incidente  probatorio con modalita'
protette,  viene  esposto  alla pubblicita' del dibattimento, essendo
quindi esaminato (sebbene, eventualmente, con l'ausilio di un esperto
di  psicologia  infantile) alla presenza di piu' persone: l'art. 498,
comma  4-ter  c.p.p.  consente infatti di esperire l'esame del minore
vittima  del  reato  mediante  l'uso  di vetro specchio unitamente ad
impianto  citofonico  solo  nel  caso  in  cui si proceda per uno dei
delitti sessuali o a sfondo sessuale.
    Inoltre,  l'impossibilita'  di escutere la parte offesa minorenne
mediante  incidente  probatorio  (ossia a breve distanza di tempo dai
fatti  ed una sola volta, ancorche' nel pieno rispetto del diritto di
difesa    dell'indagato   e   del   principio   del   contraddittorio
processuale),  impone a quest'ultima l'inutile sacrificio di ripetere
di nuovo il proprio racconto (con verosimile rinnovo della situazione
di  tensione  o  imbarazzo),  per  di  piu'  in  un  momento  in cui,
generalmente,  e'  gia'  in atto o si e' addirittura gia' concluso il
naturale  processo  di  rimozione  psicologica  del danno; situazione
questa che ovviamente contrasta con il principio del rispetto e della
tutela della personalita' dell'individuo.
    Si  ritiene infine che nella valutazione ed interpretazione delle
norme  processuali  in  esame  non  possa  non  tenersi  conto  della
decisione  CE  del 15 marzo 2001 n. 220, "Posizione della vittima nel
procedimento  penale"  (in Gazzetta Ufficiale CE n. L 82 del 22 marzo
2001),  che  contiene  una  serie di principi generali in materia, ai
quali  tutti  gli  stati  membri della comunita' si devono conformare
adottando  le  opportune  disposizioni  legislative, regolamentari ed
amministrative   necessarie   a   dare   attuazione   alla  normativa
comunitaria.
    In  tale  decisione  si legge, all'art. 2, comma primo: "Ciascuno
Stato  membro prevede nel proprio sistema giudiziario penale un ruolo
effettivo  e  appropriato  delle  vittime.  Ciascuno  Stato membro si
adoperera'  affinche'  alla  vittima  sia  garantito  un  trattamento
debitamente  rispettoso  della  sua  dignita'  personale  durante  il
procedimento  e ne riconosce i diritti e gli interessi giuridicamente
protetti con particolare riferimento al procedimento penale".
    Al secondo comma dello stesso art. 2 compare poi una disposizione
piu'  specifica:  "Ciascuno  Stato  membro  assicura  che  le vittime
particolarmente  vulnerabili  beneficino  di un trattamento specifico
che risponda in modo ottimale alla loro situazione".
    Questa  norma  ben si attaglia al caso in cui la parte offesa sia
persona  minore  d'eta',  la  quale  certamente  rientra nel concetto
"vittima   particolarmente   vulnerabile";   la   necessita'   di  un
trattamento processuale specifico che tuteli questi soggetti non puo'
quindi   che   consistere  nell'esigenza  di  apprestare  particolari
modalita'  di  assunzione  della prova testimoniale che proteggano il
teste  minore  e,  quindi,  vulnerabile.  Si noti che il "trattamento
processuale  specifico"  prescinde, secondo la decisione europea, dal
titolo di reato per cui si procede.
    Nella predetta decisione CE compare inoltre un'altra disposizione
che  certamente  interessa  il  caso  di specie: l'art. 3, in tema di
"audizione  e  produzione  di  prove", dopo aver sancito il principio
generale   secondo   cui   "Ciascuno   Stato   membro  garantisce  la
possibilita' per la vittima di essere sentita durante il procedimento
e  di  fornire  elementi  di  prova",  dispone, al comma secondo, che
"Ciascuno  Stato  membro  adotta  le  misure  necessarie affinche' le
Autorita'  competenti  interroghino la vittima soltanto per quanto e'
necessario al procedimento penale": da tale norma puo' essere desunto
il  logico  corollario  secondo cui si devono tendenzialmente evitare
successive  ripetizioni  dell'esame  testimoniale  della parte offesa
(appunto  per  le  conseguenze  di  ordine  psicologico  che  possono
prodursi  sulla  vittima), le quali non siano strettamente necessarie
all'accertamento  del  reato:  calato  tale  principio generale nella
realta'  del  nostro  processo penale, cio' significa che, quantomeno
nel  caso  in cui le vittime siano minori di eta' e, quindi, soggetti
particolarmente  "vulnerabili",  deve essere ribaltata la prospettiva
generale  secondo  cui  la  prova  si forma solo a dibattimento e non
hanno  alcun  valore le dichiarazioni rese precedentemente dal teste,
dovendosi    viceversa    ricorrere,    come   regola,   all'istituto
dell'incidente  probatorio:  solo  quest'ultimo  consente  infatti al
minore,  che non di rado e' gia' stato sentito in prima battuta dalla
polizia giudiziaria o dal p.m., di ripetere la propria deposizione di
fronte  al  giudice  una sola volta per tutte, con efficacia di prova
piena  in  tutti  i  successivi  gradi  di giudizio e, oltretutto, in
condizioni di completa serenita' difficilmente attuabili altrimenti.
    Quanto  a  quest'ultimo  profilo,  deve  essere  infine ricordata
un'altra disposizione della citata decisione europea: l'art. 8 ultimo
comma,  in materia di protezione della vittima, sancisce che "ove sia
necessario proteggere le vittime, in particolare le piu' vulnerabili,
dalle   conseguenze  della  loro  deposizione  in  udienza  pubblica,
ciascuno  Stato membro garantisce alla vittima la facolta', in base a
una decisione del giudice, di rendere testimonianza in condizioni che
consentano di conseguire tale obiettivo e che siano compatibili con i
principi fondamentali del proprio ordinamento".
    Da  tale norma si desume il principio secondo cui il giudice deve
sempre  avere  la  possibilita'  di  escludere il ricorso all'udienza
pubblica  se  ritiene  che la stessa possa avere conseguenze negative
sul  teste  parte offesa particolarmente vulnerabile, cosa che invece
non  si  verifica  nel nostro ordinamento, se non in misura limitata,
potendo  il  giudice per le indagini preliminari disporre l'incidente
probatorio solo entro i limiti sopra indicati.
    Va  ora  evidenziato che, pur potendosi prospettare, per i motivi
sopra  esposti, un contrasto tra il nostro ordinamento positivo (agli
artt. 392  comma  1-bis  e  398,  comma  5-bis  c.p.p.) ed i principi
generali  sanciti  dalla  citata  decisione  europea  in  materia  di
trattamento della vittima nel procedimento penale, questo giudice non
puo'   direttamente   disapplicare   la  normativa  interna  ritenuta
confliggente  con quella comunitaria (operazione che, in concreto, si
tradurrebbe nella possibilita' di disporre l'incidente probatorio con
modalita'  protette, in quanto, sebbene il caso di specie non rientri
tra  quelli  previsti  dagli artt. 392 comma 1-bis e 398, comma 5-bis
c.p.p.,  tale  modulo processuale sarebbe imposto dalla necessita' di
dare  immediata  applicazione  ai  principi contenuti nella decisione
comunitaria).
    E'  noto  infatti,  in  quanto  ribadito  dal  costante  mdirizzo
giurisprudenziale  sia  della  Corte  di  giustizia  della  comunita'
Europea  sia  della  Corte  costituzionale  italiana,  che in caso di
contrasto  tra  la  normativa interna e quella comunitaria il giudice
dello  stato  membro  puo'  dare  immediata  applicazione  alle norme
europee  (con  conseguente  disapplicazione  della  normativa interna
confliggente),  sempre  pero'  che  la  normativa  comunitaria  abbia
"effetto  diretto",  cioe'  sia  sufficientemente chiara e precisa e,
soprattutto,  idonea  a creare diritti ed obblighi in capo ai singoli
senza  la  necessita'  che  lo  Stato  membro adotti alcuna procedura
formale di adeguamento dell'ordinamento interno a quello europeo, con
la  conseguenza che il singolo puo' far valere direttamente di fronte
al  giudice  nazionale  la  posizione giuridica soggettiva vantata in
forza della norma comunitaria.
    Orbene,  la  decisione  europea n. 220/01 sopra citato e' un atto
normativo  sicuramente  privo  di questa caratteristica, in quanto e'
una   "decisione-quadro   ,   la   quale,   per  espressa  previsione
dell'art. 34,  comma  secondo, lett, b) del TUE, non ha mai efficacia
diretta.
    E' evidente inoltre che prima della scadenza del termine concesso
a  tutti  gli  stati  membri per l'adozione delle norme (legislative,
regolamentari  o  amministrative) necessarie a consentire la concreta
applicazione  della  decisione-quadro  in  parola  (termine che nella
decisione  stessa  e'  fissato  al  22 marzo 2002 in riferimento alle
norme  comunitarie  che  qui  interessano,  vedi  sub  art. 17),  ben
difficilmente  si  puo' porre il problema (sindacabile di fronte alla
Corte  di  giustizia CE) di mancato adeguamento del diritto interno a
quello comunitario.
    E'   comunque  altrettanto  vero  che  l'impossibilita'  di  dare
immediata  applicazione  alla  normativa  comunitaria  (attraverso la
disapplicazione  del  diritto  interno ed il contestuale accoglimento
della  richiesta  del  p.m.)  costituisce  una  delle  ragioni  della
rilevanza   nel  caso  di  specie  della  questione  di  legittimita'
costituzionale  (questione che, appunto, non avrebbe ragione di porsi
se  si  potesse  fare  immediata  applicazione  dei principi generali
introdotti  dalla  normativa  comunitaria in tema di protezione della
vittima nel processo penale).
    Gli ulteriori elementi che connotano il requisito della rilevanza
della  questione  di costituzionalita' sono i seguenti: come e' noto,
l'incidente  probatorio, in quanto strumento di anticipata formazione
della  prova  rispetto  al dibattimento, e' un meccanismo processuale
del  tutto  eccezionale,  che  non puo' essere applicato oltre i casi
espressamente previsti dalla legge; orbene, non c'e' alcun dubbio che
i  reati  per  cui  si  procede  (articoli  571, 582, 585, 576 codice
penale)  non rientrino tra quelli indicati nell'art. 392, comma 1-bis
c.p.p.,  ne'  che  sussistano  nel  caso  di  specie  le  particolari
condizioni  di  irripetibilita'  della  prova previste dall'art. 392,
comma  primo,  lett. a)  e  b)  c.p.p.,  come  del resto puntualmente
sostenuto  dai  difensori dell'indagata, che all'incidente probatorio
si sono espressamente opposti.
    Pur  tuttavia  ritiene  questo giudice che l'incidente probatorio
con  modalita'  protette  sarebbe  estremamente  opportuno  nel  caso
concreto;  va  infatti  considerata  la  particolare  delicatezza del
procedimento  penale  in  esame,  che  deriva non solo da quanto gia'
detto  in  punto  di  vulnerabilita'  dei  numerosi testimoni e parti
offese minorenni, ma anche dalla gravita' del reato in contestazione:
        secondo  l'accusa  l'insegnante  avrebbe  maltrattato diversi
bambini, provocando loro dei traumi di ordine psicologico consistenti
in  improvvisi  cambiamenti  del comportamento, fenomeni di agiazione
del  sonno,  rifiuto  di  voler tornare all'asilo, etc...; inoltre, a
causa  del  fatto  che  il reato ha indfrettamente investito anche le
famiglie delle numerose parti offese, nell'impossibilita' di esperire
l'incidente  probatorio  sussiste  il  concreto  pericolo  di perdere
irrimediabilmente  la  genuiita'  della  testimonianza dei bambini, i
quali   potrebbero   essere   portati,  anche  inconsapevolmente,  ad
amplificare  o  modificare  i  fatti realmente accaduti, a seguito di
colloquio  tra  loro,  ma,  soprattutto, a seguito di colloquio con i
loro  genitori:  questi  ultimi  si  sono infatti "coalizzati" contro
l'indagata,  prima  attraverso  una  lettera  inviata alla direttrice
didattica  in  cui si lamentavano vivamente del comportamento manesco
ed  intimidatorio dell'insegnante Pupino Maria e, successivamente, in
una  riunione  indetta  dalla  direttrice, nella quale, alla presenza
delle  altre  insegnanti  e  dell'indagata stessa, hanno rinnovato la
loro sfiducia nei confronti di quest'ultima.
    Nel   caso  di  specie  quindi,  considerato  che  la  Pupino  in
un'accorata  lettera  (inviata  alla direttrice, al provveditore agli
studi e all'Ufficio minori della Questura di Firenze) si proclama del
tutto  innocente,  e'  indubbio  interesse  anche  dell'indagata  che
l'esame   testimoniale  dei  bambini  si  svolga  mediante  incidente
probatorio,   essendo   quest'ultimo  lo  strumento  processuale  che
consente di garantire meglio la genuinita' della prova.
    Sotto   il   profilo   della   rilevanza   della   questione   di
costituzionalita' si fa ulteriormente notare che essendo il fascicolo
processuale  attualmente composto da una nutrita serie di s.i.t. rese
dai  genitori  delle  piccole parti offese, le quali ultime pero' non
sono  ancora  state  sentite dalla polizia giudiziaria o dal p.m., ne
consegue che, in caso di rigetto dell'istanza di incidente probatorio
e  successiva  richiesta  di rinvio a giudizio, questo giudice dovra'
necessariamente  procedere  all'esame  diretto  dei bambini nel corso
dell'udienza  preliminare,  non  potendo  qualsivoglia decisione (sia
quella  relativa alla scelta tra rinvio a giudizio o proscioglimento,
sia,  a  maggior  ragione,  la  decisone  di  merito  in  ordine a un
eventuale  giudizio  abbreviato) prescindere dall'esame diretto delle
piccole parti offese esperito dal giudice procedente (esame che sara'
quindi  disposto  ex  art. 422  cpp, ovvero ex art. 441, comma quinto
c.p.p.);  l'inevitabilita'  dell'assunzione  della prova testimoniale
dei   bambini  gia'  nella  fase  dell'udienza  preliminare  porta  a
concludere  che,  in  base  a  un  principio di economia processuale,
l'assunzione  medesima  debba avvenire con le modalita' particolari e
con l'efficacia probatoria piena previste dalla legge per l'incidente
probatorio;